Taverna


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Durante i secoli della dominazione veneta funzionarono a Gandino prima una e poi due taverne di proprietà comunale, distinte come "taverna di sopra" e "taverna di sotto" o "dei forestieri", gestite dal comune stesso, che come altri comuni della Valle controllava la vendita del vino al minuto in regime di monopolio sul territorio comunale e di esenzione dal pagamento del dazio del vino all'ingrosso e al minuto (in luogo del dazio pagava annualmente una quota fissa detta "limitazione"). Ben 23 (da XXXI a LIII) erano i capitoli dello statuto del 1445 che regolavano la gestione delle taverne comunali: il consiglio di credenza eleggeva ogni anno quattro "conductores" (uno di Peia, uno di Cirano e due di Gandino) che erano responsabili della corretta gestione della taverna e si occupavano dell'acquisto e del trasporto del vino e della manutenzione dei locali, nonché un notaio e un canevaro preposti al controllo della contabilità della taverna. I "conductores" a loro volta nominavano i "tavernieri" a cui era affidata la vendita diretta del vino nella taverna. I conti della taverna dovevano essere rigidamente controllati onde evitare frodi: essi venivano di volta in volta annotati in presenza del consiglio di credenza sul "libro della taverna" e contemporaneamente su un altro registro chiamato "contraforte" che era tenuto dai credendari. I registri di contabilità sono stati in gran parte conservati nell'archivio, e costituiscono la parte più consistente di questa serie, composta complessivamente di 142 unità. Rigorosi dovevano essere poi anche i controlli sulla qualità e sulla quantità del vino venduto in taverna; regolarmente il vino spillato dalle botti e consegnato per la vendita ai tavernieri era misurato con le misure bollate fornite dal comune e annotato sui registri.
I capitoli statutari relativi alla gestione della taverna vennero riformati a più riprese nel corso dei secoli: a partire dal XVII secolo i tavernieri vennero nominati direttamente dal consiglio comunale e la carica di conduttore sdoppiata mediante la creazione anche di quella di "fornitore", con il compito di provvedere alla fornitura appunto del vino. Inoltre, come dimostra una deliberazione del 13 agosto 1617, la taverna, pur rimanendo comunale, cominciò ad essere data in affitto mediante incanto, e la figura del conduttore venne sostituita da quella dell'affittuale. A partire da quel periodo, dunque, tra la documentazione rimasta si trovano i capitoli d'incanto e i periodici inventari dei beni mobili esistenti nella taverna (1).
La gestione pubblica in regime di esenzione della vendita del vino permetteva di mantenerne il prezzo a livelli decisamente inferiori rispetto ad altri luoghi ove era imposto il dazio. Per questo il comune si oppose con reiterate suppliche alla deliberazione presa dal consiglio dei pregadi di Venezia il 15 aprile 1761 che stabiliva l'incanto del dazio sul vino anche per la Valle Gandino in seguito alle denuncie presentate da Lorenzo Bonduri e Alessandro Radici circa la scorretta gestione delle taverne comunali e delle entrate relative instauratasi in quegli ultimi anni. Finalmente il 14 marzo 1765 il consiglio dei pregadi revocò il precedente provvedimento e riconfermò per i comuni della valle Gandino il privilegio di esenzione dal dazio e di vendita del vino al minuto in taverne di proprietà comunale. Consistente è la documentazione che testimonia l'attività giudiziale relativa alla suddetta questione; inizialmente conservata tra le carte della serie "Taverna", si è ritenuto poi più opportuno collocarla entro la serie "Suppliche" (1.27) dell'archivio del comune di Gandino.


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