Boschi e pascoli


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La serie è costituita da 23 unità, tra cui spiccano alcuni registri del secc. XV-XVI, contenenti sunti di atti di vendita di quote dei beni e talvolta "calcati", cioè inventari degli stessi, tratti perlopiù da registri notarili (fatto questo che rende tali "calcati" diversi da quelli di cui alla serie 1.7 "Calcatori dei confini", dove prevale il carattere di verifica dei confini e manca l'autenticazione notarile). Vi sono inoltre alcuni strumenti relativi all'alienazione a privati o all'acquisizione da parte del comune di piccole proprietà, perlopiù del sec. XVI; e, a partire dal sec. XVII, una documentazione più sistematica relativa all'amministrazione del patrimonio boschivo, con capitoli di incanto, inventari, carte relative alla gestione del taglio e alla vendita della legna, e alla manutenzione delle cascine di cui erano dotati alcuni pascoli: documentazione talvolta corredata da disegni.
Oltre a raccolte di carte eterogenee riguardanti la gestione mediante incanto del taglio dei boschi e dell'uso dei pascoli, emergono nel nostro caso numerosi documenti relativi alla definizione dei diritti d'uso con i comuni limitrofi (in primis, quella con il comune di Peia, in seguito alla separazione di questo nel 1566), e alcuni registri (e relativi estratti) di "calcato", cioè di verifica dell'estensione dei beni stessi mediante ricognizione dei confini, talvolta corredati da disegni. Vale anche per queste carte l'osservazione già fatta a proposito della serie Calcazioni dei confini comunali: anche quando si tratti di pezzi riconducibili a controversie giudiziarie, si è preferito mantenere la collocazione in questa serie, privilegiando l'aspetto descrittivo dei pezzi).
Il patrimonio di boschi e pascoli costituì sempre un'importante risorsa per i comuni di Antico Regime, anche nel caso di comunità economicamente evolute come la Gandino dell'età veneta; è quindi frequente la produzione e la conservazione di consistenti corpi di carte relativi a questa materia.
Un inventario di proprietà comunali a metà '700 vede la presenza, tra gli altri beni, di pascoli, "Monte di Guaza, Campo d'Avene, Prati Barbogli e Tagliate di Valpiana", e "segaboli" (prati da taglio) "Segaboli di val d'Agro, il Ronco del Patta e Li Fubiadessi". L'archivio documenta l'acquisizione di beni immobili da parte del comune almeno a partire dal 1237 (a pochi anni dalla sua emancipazione, quindi), quando vennero acquistate due pezze di terra con casa sul monte Sajecolo. Risale al 1234, invece, la convenzione fra il comune di Gandino e quelli limitrofi di Leffe, Casnigo e Cazzano con Barzizza relativamente al godimento collettivo del monte Guazza e della valle dell'Agro, segno assai precoce della volontà di organizzare una proprietà indivisa non solo a livello comunale ma anche rispetto ad altri enti.
Nel corso del tempo altri beni entrarono a far parte del patrimonio comunale. Si trattò, in genere, di boschi e pascoli, la cui gestione assumeva grande importanza all'interno dell'economia locale. Gli statuti del 1445, infatti, ne regolamentano l'uso, a partire dal divieto per i tintori di far legna in alcuni boschi comunali e ai vicini di far legna negli stessi boschi e di venderla ai tintori. La maggior parte della legna proveniente dai boschi comunali, infatti, era destinata alle famiglie per uso privato, e solo il rimanente poteva essere utilizzata nelle calchere, nelle fornaci e in altri edifici simili. L'accesso ai boschi comunali era strettamente regolamentato: i boschi venivano divisi in "ingazzati", chiusi all'uso, e "liberati", nei quali si poteva far legna. Anche l'utilizzo dei boschi aperti era regolamentato: non si potevano sradicare piante giovani ed era consentito solo il taglio di legna piccola, essendo gestito direttamente dal comune il taglio di quella grossa, la sua distribuzione o la sua vendita. Nonostante ciò, l'utilizzo dei boschi portò al loro graduale impoverimento tanto è vero che un censimento del 1793 vede il comune denunciare la sola proprietà di "alcuni boschetti".
Il comune possedeva anche diversi pascoli e "segaboli" che cedeva in affitto per tre o cinque anni a malgari. I malgari dovevano permettere il pascolo di tutte le bestie "che gli saranno consegnati dalli huomini et vicini del comune di Gandino" per una cifra stabilita. Le bestie venivano consegnate sulla piazza di Gandino alla presenza di una persona a ciò deputata dall'incantatore. Alla fine del '500 risultavano presenti a Gandino circa 1000 pecore, poco più di 100 fra cavalli e muli e circa 100 bovini, a conferma della vocazione "industriale" della comunità. Talvolta il comune si trovò nella necessità di chiudere alcuni pascoli. Nel dicembre 1600, ad esempio, data la penuria di legne sui boschi del monte d'Avene, il comune stabilì il divieto di pascolo per evitare che gli animali danneggiassero il già impoverito patrimonio boschivo.
Fra i beni comunali, i più estesi ed importanti erano senza dubbio il Campo d'Avene e il monte Guazza. Il campo d'Avene entrò a far parte del patrimonio comunale probabilmente fra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV. Nel corso del XVI secolo venne in gran parte alienato (nel 1547 risulta di proprietà comunale solo per 1/8), ma nella seconda metà del secolo fu riacquistato dal comune. Il Monte Guazza diventò anch'esso proprietà comunale prima dell'inizio del XIV secolo, ma a differenza del Campo d'Avene apparteneva anche ai limitrofi comuni di Cazzano e Barzizza. Nel corso del '600, inoltre, il comune acquistò anche i cosiddetti "prati Barbogli", il cui nome deriva dal soprannome dei venditori (gli eredi di certi Gaioncelli di Lovere detti appunto Barbogli), siti in Valpiana, località dove il comune aveva già alcuni beni. E' da notare il fatto che, nello stesso periodo in cui alienava alcuni folli, il comune procedeva all'ampliamento dei propri boschi e pascoli.



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